domenica 21 aprile 2013

"Il mio Paradiso è deserto" di Teresa Ciabatti (Rizzoli)





“Il mio paradiso è deserto” di Teresa ciabatti è un esempio di vera letteratura che scava nel profondo, fa mettere in discussione certezze e preconcetti e conduce attraverso il dolore umano, i disagi esistenziali e le sofferenze di quelli che sono non solo personaggi di una storia ma tipologie di esseri umani molto più vicini a noi di quanto siamo disposti a credere. Il romanzo racconta la storia di Attilio Bonifazi, denominato per il suo grande potere economico e diplomatico, “l’Ottavo re di Roma”, un uomo forte che ha costruito la sua ricchezza sull’impero dei rifiuti e quella dei componenti della sua famiglia come Marta, ragazza che ha seri problemi col proprio corpo e la propria anima e Pietro, che a suo modo vivrà il proprio dramma esistenziale. Nel leggere il nuovo romanzo della Ciabatti, costruito con uno stile diretto, a tratti sarcastico, in altri lirico e immediato, non si può non immedesimarsi totalmente con i personaggi costruiti, vivere attraverso i loro corpi, guardare attraverso i loro occhi o soffrire il loro dolore. Come ogni vero romanzo l’autrice non esprime giudizi di valore ma fornisce ipotesi di significato, tentativi di comprensione di quella storia meravigliosa che è la vita umana. Ogni gesto, ogni silenzio, incomprensione, sbaglio, orrore, sofferenza diventano un piccolo passo lungo la strada dell’esistenza, della comprensione e accettazione di se stessi e del proprio intimo essere. La scoperta di sé e il vivere ciò che si è e non ciò che gli altri vorrebbero che noi fossimo rappresenta uno dei punti cruciali della storia. È il caso di Attilio, alle prese con i propri istinti ma anche di Marta e di Pietro. Su tutto domina la piena consapevolezza che la realtà è un qualcosa di complesso proprio come la natura umana e l’essere di ogni persona. La scrittura, le storie, i romanzi, sembra dire Teresa Ciabatti, sono la celebrazione della complessità e ricchezza dell’esistenza, il promemoria che ci ricorda quanto vario sia il genere umano e quanto prismatiche le sfumature dell’agire, la sfera dei sentimenti, delle sofferenze e dell’amore. “Il mio paradiso è deserto” è anche un romanzo sull’amore. Ognuno dei personaggi della storia trasuda un intenso bisogno di essere amato, accolto, custodito. Spesso questo bisogno si scontra con un’incapacità di chiedere, di comunicare i propri bisogni, di avanzare la propria richiesta d’amore. Ecco allora che si cade, ci si perde, ci si chiude in se stessi. Ma l’amore, sembra dire ancora l’autrice è in grado di agire spesso da sé, autonomamente e di guarire tutto. Amore che guarisce, amore che custodisce e fa vivere. Un romanzo, dunque, dal quale lasciarsi trasportare, grazie al quale capire un po’ di più le dinamiche umane e dalla cui bellezza linguistica farsi cullare.

lunedì 15 aprile 2013

"A viso coperto" di Riccardo Gazzaniga (Einaudi)






“A viso coperto” (Einaudi Stile libero) di Riccardo Gazzaniga è uno di quei romanzi che ti riconciliano con la lettura e con la realtà e che aprono un vulnus nella concezione, ben radicata in me, che almeno nel panorama italiano, le scrittrici sano superiore agli scrittori. Gazzaniga, che si definisce simpaticamente ma argutamente “operautore di polizia” è appunto un poliziotto attivo nella caserma di Bolzaneto ed è stato il vincitore del Premio Calvino 2012 con una storia che analizza attentamente e poeticamente i rapporti tra forze dell’ordine e ultrà. Al di là della storia raccontata e dei suoi personaggi, che credo sia giusto che ogni lettore possa scoprire e amare da sé, ciò che merita attenzione sono l’intento e il relativo effetto “civili” che quest’opera contiene in sé. “Civile” nel senso di contributo che la letteratura può dare alla costruzione di una società presentando le diverse modalità di esistenza presenti, i diversi regimi di pensiero e di approccio alla vita, alla legge e all’altro. Gazzaniga, lungi dal voler esprime giudizi di valore o condanne, cerca più che altro di far comprendere le diverse posizioni in gioco, cercando di aprire spiragli di significato che siano idonei a far immedesimare il lettore nella realtà da lui descritta e dunque colmare il vuoto tra “il sentito dire” o l’informazione appresa passivamente e “l’esperienza diretta” relativamente al mondo degli stadi e dei complessi rapporti tra poliziotti e ultrà. Ogni lettore potrà così dismettere il ruolo di spettatore che davanti la tv apprende e lascia scorrere nei propri occhi immagini, date dai notiziari, di inusitata violenza e viene catapultato proprio lì, negli stadi, in mezzo alla folla violenta e scalmanata. E tal volta l’immedesimazione è così potente che si prova paura. Paura di venir feriti, di rischiare la vita o di lasciarsi dominare e guidare dall’anima della folla stessa che, come insegna Freud, è spesso dotata di uno spirito proprio e maggiore rispetto alla volontà dell’individuo preso singolarmente. Il linguaggio utilizzato da Gazzaniga è forte e incisivo, realista, diretto e immediato sia nella descrizione delle vite dei singoli e numerosi personaggi, ognuno assediato dai propri problemi e dalle proprie frustrazioni umane, sia nel dipingere le scene corali dove il ritmo e la corrosività delle scene imperano completamente. A tratti si ha l’impressione di leggere qualcosa di Melania Mazzucco e della sua scrittura immensa e visionaria. E proprio la Mazzuco dice, riguardo a questo romanzo: “Gazzaniga costruisce una trama compatta e serrata, trascinando il lettore in un mondo maschile di violenza e frustrazione. Una storia di sogni infranti e follia che diverte, provoca e coinvolge”. Niente di meglio che di queste parole per riassumere la potenza narrativa di Riccardo Gazzaniga e del suo “A viso coperto”. Per chi non si fosse ancora convinto sarà sufficiente leggere uno stralcio di questo romanzo e lasciarsi conquistare dallo stile accattivante e, oserei dire, notevolmente “verista”.


“A prescindere da cosa? Dalla vita? Dalla logica? Dall'essere adulti? Dal fatto che queste sono cazzate?, si chiedeva. Perché così stanno le cose. Sono questioni che sembrano importanti solo a noi. Fuori dallo stadio, tra la gente normale, non hanno senso. Forse é perché non hai figli, Lollo. Oppure perché non ti é mai capitato niente di tanto brutto da farti detestare la vita. Che una volta passata la rabbia, dopo quei secondi in cui ti sentì meglio nella mischia, capisci che quel dolore, quel buco dentro non si riempie mai, per quanta merda inghiotti nella speranza di tapparlo


L’umanità dei personaggi, le loro paure, le loro contraddizioni, le loro delusioni, speranze, assenze: un romanzo corale sulla complessità delle persone.