avVERSItà (uno sguardo ignorante sulla poesia)



GIUSEPPE NIBALI - COME DIO SU TRE CROCI





Giuseppe Nibali (catanese, classe '91) l'ho conosciuto quasi un anno fa, in occasione di un evento di poesia cui partecipammo entrambi. Fin dal primo ascolto rimasi colpito dalla potenza gentile dei suoi versi, già maledettamente maturi per la sua età. Nell'ultimo anno ho avuto modo di leggere alcuni suoi lavori e di collaborare in occasione del festival "Bologna in Lettere" confermando la mia prima impressione. Impressione che viene ora arricchita di spessore dalla lettura della sua prima raccolta di poesia "Come Dio su tre croci" (Affinità Elettive 2013) vincitrice del premio di poesia "Le Stanze del Tempo".
Vi avverto subito che non è un libro facile, che non è un libro semplice, ed è per questo motivo che non potete non leggerlo.

Respiro
il silenzio
delle stazioni, la partenza
sospesa
lo stagno da ritirata

Alla potenza giovanile e mai giovanilistica, che contraddistingueva, almeno in parte, la sua produzione precedente, si aggiunge una tortuosità matura ed affascinante che non è vuoto sfoggio di abilità stilistica, ma poetica traduzione dell'asperità del suo animo siciliano.

Calpestala poi - che s'infanghi
sulla terra di Kokalos e non sia più
quella che sapevi.





Perché due sono i protagonisti di questo lavoro: da un lato la Sicilia: aspra, dura, assolata, nemica ed accogliente al tempo stesso e dall'altro lato l'animo siciliano del poeta che nella sua terra trova una madre ingombrante che a fronte di un assolato presente lo mette costantemente alla prova con un destino che si colora delle ombre dei sassi che riempiono questo triangolo gettato in mare da dio.

Non ti sento più nel padre
che scappava e poi moriva come dio
su tre croci

Ridurre il rapporto tra il poeta e la sua terra alla dualità amore/odio sarebbe banalizzare questo confronto continuo che vede nel riconoscimento e nell'allontanamento il respiro vitale con cui, oltre a nascere e crescere, si impara a vivere.
Leggetelo con calma questo lavoro. Leggetelo con il desiderio di attraversare una terra difficile  in cui si deve tornare più di una volta per conoscerla bene, ma consapevoli che già al primo passaggio vi avrà dato già tanto, esattamente come questo libro.

(di Alessandro Brusa)












… DI POETI IPOTETICI (PER TACER DEI GABBIANI)





Ho sempre amato la massima di Bukowski, quella che dice che la poesia dice tanto in
pochissimo tempo, mentre la prosa dice poco e ci mette pure un bel po'. E sono stato
felicissimo di ritrovarla nella homepage del sito di Francesca Del Moro (http://
www.delmoro.it/index.html) poetessa dalla versificazione molto diversa dalla mia, ma che
per milioni di altri motivi trovo a me molto affine.
Ma dato che io amo confondere le acque come amo l'integrazione degli opposti, alla
massima di Bukowski aggiungo quello che diceva Shelley (l'immenso Shelley!) ovvero che
pensare che scrivere in prosa o in poesia siano cose diverse è un volgare errore. E se
avete voglia di rileggere entrambe queste affermazioni vedrete che sono solo
apparentemente in contrasto e che la sintesi è in verità a portata di mano.
E quindi, leggendo Francesca Del Moro, vi chiedo di buttarvi alle spalle anche categorie
come "Poesia Lirica" e "Poesia Narrativa", categorie motivate seppur virtuali e che
lasciano esattamente il tempo che vorremmo trovare quando cerchiamo una risposta:
perché non c'è niente da fare, quando leggiamo, poesia o prosa che sia, a tutti noi accade
sempre di trovare domande quando quello che invece andavamo cercando erano risposte.

All'improvviso
All'improvviso
capisci
che potresti perdere tutto,
anche la vita
Potrebbe scivolare via
dalla tua mano
come una moneta
da un centesimo
e non faresti la fatica
di riprenderla
facendo appena
un passo indietro.

E farvi domande è precisamente quello che potrebbe accadervi se aveste voglia (ed io ve
lo consiglio vivamente) di leggere "Gabbiani Ipotetici" (Cicorivolta Edizioni, 2013), la nuova
raccolta poetica di Francesca Del Moro. Una raccolta che ci ha messo quattro anni per
venire alla luce (del 2009 era "Quella che resta", la sua ultima silloge poetica) più che altro
per le infinite difficoltà che un poeta deve affrontare al momento del parto del proprio
lavoro… difficoltà che fanno spesso dimenticare il vero e proprio dolore: la sua stessa
gestazione.

da "Aborto"

Tutto questo
in un attimo
è sparito
nei loro occhi
pieni di disprezzo
e il cestino del pattume
in mezzo alle gambe
ha fatto il resto.

Nella prefazione a "Gabbiani Ipotetici", Adriana M. Soldini sottolinea l’esistenza di due
livelli di lettura: la poetessa fuori e quella dentro di Sé. Ed è proprio di questo
sdoppiamento e del suo rapporto con la realtà che voglio parlare con Francesca.




Francesca dimmi, che impatto ha la realtà sulla tua poesia?

“Realtà” è una parola difficile. Se la intendi nel senso di “accadimenti effettivi” esterni al
parlante, direi che ha un impatto considerevole. Cerco di comportarmi come il fotografo
che non dimentica mai la sua apparecchiatura e mantiene uno sguardo aperto, vigile e
curioso su tutto ciò che lo circonda per non lasciarsi mai sfuggire uno scorcio interessante.
Mi capita spesso di imbattermi in una scena significativa e di catturarla con le parole che
mi vengono d’istinto, per poi rielaborarla come fa il fotografo con le moderne tecniche di
image editing. Ma in definitiva non si può parlare di una vera e propria dicotomia tra realtà
esteriore ed esperienza interiore, perché la scrittura registra in qualche modo la mia
personale reazione a ciò che capita fuori di me, che si tratti di una scena vista per caso, un
accadimento politico, un fatto di cronaca o l’esperienza di una persona vicina.


Nei tuoi versi la realtà si mescola spesso con la tua vita privata.. è un difetto di
impermeabilità o una tua necessità?

Né l’una né l’altra. È una scelta consapevole. Come molti, ho cominciato a praticare
seriamente la scrittura a fini “terapeutici”, per portare alla luce una situazione dolorosa e
quasi completamente rimossa in modo da poterla osservare dal di fuori e
“addomesticarla”. Il brutto dentro di me poteva trasformarsi in qualcosa di bello attraverso
l’arte e così diventava sopportabile, anzi acquisiva valore. Non solo per me ma anche per
gli altri, che nella mia scrittura potevano riconoscersi col risultato di sentirsi meno soli ed
essere a propria volta spinti a guardare dentro di sé senza paura né vergogna. Il mio
sogno è che quello che scrivo lasci il segno in chi mi legge e a tal fine ritengo necessaria
la più totale sincerità.


Quanto ti costa esplicitare così la tua vita privata?

Non è mia intenzione scrivere un diario, desidero che le persone si soffermino sulle
esperienze descritte perché le ritengo in qualche modo significative ma non
necessariamente ricalcano il mio privato. A volte ne prendono spunto, a volte si tratta di
esperienze di altri che ho vissuto in maniera empatica (ne è un esempio la seconda
poesia che hai citato). Capisco che soprattutto le persone che mi conoscono possano farsi
un’idea non proprio edificante di me ed essere disturbate dai miei versi o persino soffrirne.
Ma la cosa non mi pesa affatto: è un rischio che ho scelto di correre, ho deciso di non
censurare nulla. Sono l’esemplare della razza umana che conosco meglio, la prima cavia
che ho a disposizione per praticare la vivisezione. E, più scavi nel personale, più diventi
universale, come recita un vecchio adagio.


Quanto è piacere e quanto è necessità la tua scrittura?

Piacere al 100%. Ma il piacere è pur sempre una necessità.


Chi sono questi gabbiani ipotetici?

Sono i gabbiani di cui parla Gaber in “Qualcuno era comunista”. La nostra natura più
autentica, che ci portiamo dentro mentre ci trasciniamo dalla nostra casa al posto di lavoro
e poi ancora a casa, mentre ci rendiamo “presentabili” ed eseguiamo i riti che abbiamo
assimilato più o meno consapevolmente. Il gabbiano è quella parte di noi che, anche se
siamo bloccati a terra, continua ad aprire le ali con l’intenzione di volare. Quello che io
cerco di mettere a fuoco in questa raccolta è il quotidiano conflitto, doloroso ma ancora
fonte di speranza, tra queste nostre due nature.


da "Datemi"

Datemi poche regole da osservare,
una fede sola e semplice,
fatemi credere, solo credere,
fatemi smettere di pensare.


ALESSANDRO BRUSA












LA POESIA E L'ARTE DELLA PALLANUOTO

 di 








Ma voi cosa vorreste essere? o meglio, cosa preferireste essere se vi dessi una scelta tra due opzioni? e non venite a menarla con il  fatto che se le opzioni sono due non è una vera scelta, che ce ne vorrebbero tre e bla e bla e bla.. perché stiamo facendo uno di quei giochini no? di quelli che facevamo da bambini e che onestamente facciamo anche ora, solo che ora usiamo parole orribili tipo "inciucio", "spread" o "amore".. facciamo quindi che ora vi chiedo: ma voi, preferireste essere un poeta o un giocatore di pallanuoto?



Non vi darò una risposta.. non c'è una risposta, ma voi chiedetevelo mentre leggete i lavori dei settantaquattro (sì avete capito bene settantaquattro, 7 e 4, come un Jumbo meno un 7) giovani poeti della raccolta "Dear World & Everyone in it" appena uscita in Gran Bretagna per Bloodaxe Books, uno degli editori di poesia più interessanti del regno e che se ne esce ora con questa nuova antologia che segue di quattro anni "Voice Recognition" del 2009.







Nathan Hamilton, poeta ed editor di questa raccolta, non ha dubbi: essere un giocatore di pallanuoto! essere un poeta è cosa troppo vaga e ciò che ne ottieni in cambio è troppo poco; editare poi un'antologia di giovani poeti?! ..naaaahhh non se ne parla neppure, vuoi mettere con il godimento narcisistico di andare in giro con due pettorali da urlo? vuoi mettere la faccia del vostro interlocutore che vi guarda con ammirazione e con l'occhio puntato sui suddetti pettorali invece che la solita faccia sorpresa ed un po' dispiaciuta che la gente sfodera quando voi rispondete "Sono un poeta".

Anche perché siamo onesti, loro (sì "loro".. sono intorno a noi, sono uno di voi..) vi hanno chiesto "Che lavoro fate?", non vi hanno chiesto "Che cosa siete?". Vi sembra che il vostro nuovo vicino di casa sia interessato a sapere che cosa siete? Lui vuole sapere se avrete i soldi per pagare la prossima rata del condominio e fidatevi, dire che siete un poeta lo getterà nell'angoscia più assoluta dalla quale in pochi si sono ripresi: i vicini di mio padre mai.. ecco perché io dico di essere un neurochirurgo!

Ma dei vicini di casa non frega niente a nessuno direte voi.. ok, bene, allora parliamo delle feste.. perché lo so, nella vostra mente ballerina voi vi immaginate di essere ad una festa, di avere in mano un Jack Daniel's (i poeti bevono bourbon.. se preferite cocktail sofisticati allora dovete fare gli scrittori e se bevete solo birra allora tornatevene immediatamente da quel tugurio da dove siete usciti a scrivere un'altra puntata del vostro inutile blog!) ed immaginate una formosa ragazza (o un dotato ragazzo.. perché gli artisti sono tutti un po' froci si sa!) che vi chiede "Siete un poeta vero!?" (altra nota, ai poeti si dà del voi, almeno fino al terzo Jack Daniel's).. ecco, finalmente potrete rispondere "Sì, sono un poeta..".
Ma vi siete mai chiesti.. e adesso? perché a quel punto l'interesse per voi scemerà in un batter di puttana e vi chiederanno di presentar loro quel giovane attore di cui tutti parlano e voi annasperete nel panico cercando di incrociare il più rapidamente possibile lo sguardo di quel vostro "amico" sceneggiatore (che come tutti gli sceneggiatori sorseggia vino di qualità mediocre) che forse lo conosce perché ha lavorato a quel nuovo film e bla e bla e bla..
Fidatevi, é molto meglio avere due pettorali da urlo!




Ma Nathan Hamilton è uno in gamba, la questione dei pettorali ha smesso di porsela da tempo (sì.. come no..) ed è riuscito a mettere insieme quella che se non è una ristretta selezione del meglio che il Regno Unito produce in termini di giovani poeti, sicuramente ce ne dà un'ampia panoramica. E non è questione di scarsa selettività, ma desiderio di raggiungere la maggior parte delle voci esistenti, anche al di là degli asfittici "circoli accademici" che fanno sempre gli stessi nomi e che non riescono a parlare di poesia senza parlare di epistemologia sintattica, di palingenesi del verso, di atomizzazione del significante e bla e bla e bla: qui si parla di poeti e di pettorali!

La selezione dei nomi è il risultato di un sistema semplice che ha portato alla compilazione di un'antologia "collaborativa": ad un primo gruppo di poeti selezionati è stato chiesto di presentare loro versi e di fornire anche una rosa di altri tre nomi di colleghi, scelta da essere fatta di "pancia", in maniera del tutto istintiva. A questi altri nomi suggeriti dalla prima rosa di selezionati è stata chiesta la stessa cosa, mentre al terzo gruppo che ne derivava è stato chiesto solo do presentare il loro lavoro.
Questa la teoria.. in pratica l'editore ci ha poi infilato lo zampino cercando di mettere un po' d'ordine nel caos che ne era venuto fuori, ma il risultato è un'eterogeneità viscerale e non glaciale, un'eterogeneità che non è solo il risultato del giudizio del "compilatore" dell'antologia e delle scelte di una elite, ma è il risultato del giudizio di una coscienza poetica collettiva dei giovani poeti britannici.. non è eccitante tutto questo!?
Poi certo non bastava essere giovani poeti e neppure essere bravi poeti, perché come fa notare Nathan Hamilton ai detrattori di questo suo metodo: molti giovani poeti scrivono vecchia poesia!

E quindi, dopo tutte queste parole, dopo tutto questo mio delirante entusiasmo per la coscienza collettiva dei giovani artisti.. non è forse comunque meglio fare i giocatori di pallanuoto.. perché i giovani poeti invecchiano, perché invece i giocatori di pallanuoto saranno ricordati anche tra cento anni da tanti altri giocatori di pallanuoto e dai loro fans che, siamo onesti, sono molti di più che i poeti..
È vero, ma non è una questione di numeri, perché la poesia sarà ricordata nel linguaggio. E con questo, Poesia batte Pallanuoto 2 a 1!

Dear World & Everyone In It - New Poetry in the UK 
edited by Nathan Hamilton - Bloodaxe Books 2013







2 commenti:

  1. Ma essere entrambi non si può? Voglio dire c'è poesia anche in certi pettorali!
    Io opto per scrivere poesie nell'acqua o meglio sott'acqua mentre sorseggio un burbon.
    Bravo Alessandro! L'ironia con cui hai posto il tutto mi sa di vita, di quella visceralità che dovrebbe contraddistinguere non solo la poesia, ma l'intera sfera delle arti e dell'espessività.
    In quanto al vicino di casa che chiede "Tu cosa fai", beh, che si fo..a. :) A presto, Valentina

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  2. Valentina.. vedessi i miei di pettorali.. ;-)
    Alessandro

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